
Per quasi un mese la cabina della funivia del Mottarone è stata una roulette russa per chi ci ha viaggiato.
Da quando l’impianto è ripartito il 26 aprile dopo il blocco per le norme anti-Covid, i freni di emergenza erano stati disattivati inserendo almeno un «forchettone» per evitare che l’impianto continuasse a bloccarsi a causa di una serie di anomalie che facevano scattare i sistemi di sicurezza.
E quando domenica mattina la fune di trazione si è spezzata all’arrivo nella stazione di monte, la cabina, libera dall’unico vincolo, è diventata un proiettile, ha ripercorso a ritroso gli ultimi 300 metri che aveva fatto a una velocità di oltre 100 km all’ora che l’ha fatta sganciare dalla fune portante e precipitare, schiantandosi a terra e uccidendo 14 dei 15 passeggeri.
Sono questi i risultati agghiaccianti e fino a ieri impensabili raggiunti dagli investigatori in appena 48 ore di indagini che hanno portato al fermo del titolare delle Ferrovia del Mottarone Luigi Nerini, Gabriele Tadini, direttore del servizio ed Enrico Perocchio, capo operativo.
Sono le 3,57 della mattina, il cielo già albeggia sulla sponda piemontese del lago Maggiore quando la procuratrice Olimpia Bossi e il sostituto Laura Carrera lasciano la stazione dei Carabinieri di Verbania dopo la raffica di interrogatori cominciata 12 ore prima e conclusasi con i fermi dei primi tre indagati accusati di omicidio colposo plurimo, lesioni colpose gravissime nei confronti di un bambino (unico sopravvissuto) e di rimozione od omissione dolosa di cautele aggravata dal disastro.