di Hellen Lusardi
Vaccini per tutti vaccini per tutto, un slogan sonante, una grande promessa per un radioso futuro senza più influenza, senza Hiv, senza pandemie; un sogno a occhi aperti. I vaccini sono diventati la nuova frontiera della tecnologia e non solo della salute, senza di essi non si sopravvive alla più grave catastrofe sanitaria dopo la spagnola di un secolo fa, non si lavora e non si guadagna.
Fateci tornare a vivere, grida la variegata folla movidista; persino gli chef si attovagliano in piazza, ce l’hanno con il governo, vogliono i sussidi, dovrebbero chiedere vaccini perché in realtà, nonostante la campagna vada avanti più spedita, non ce ne sono per tutti. Allo stato attuale si può coprire solo una minoranza della popolazione mondiale; è colpa del protezionismo sanitario, come ha denunciato Mario Draghi, ma non solo.
L’Unione europea vuole raggiungere l’autosufficienza produttiva, gli Stati Uniti l’hanno già superata, Vladimir Putin ha lanciato il suo Sputnik che non è decollato, la Cina dove tutto è cominciato non ha ancora fornito un prodotto efficace, l’India, secondo maggior produttore dopo gli Usa, non ne ha abbastanza per fermare la ferale corsa del Covid-19. Le più grandi tra le imprese farmaceutiche sono state surclassate da concorrenti inferiori, mentre si sono affermate aziende minuscole, poco più che laboratori specializzati; un vero terremoto industriale che ha provocato anche un boom anomalo in Borsa, tanto che si parla già di bolla dei vaccini.
In mezzo a tanta euforia cominciano a emergere interrogativi che hanno il sapore amaro della realtà. Davvero questi farmaci sono l’avvenire della salute collettiva? Prima della pandemia la loro produzione era poco più di una nicchia per Big Pharma, che traeva da ben altro i suoi profitti, dopo che cosa accadrà? I governi continueranno a stampare moneta per sovvenzionare le imprese e mantenere scorte strategiche come si fa per il petrolio o per le armi, nel caso che scoppi una nuova guerra virale su scala planetaria? E quanto costa?
Facciamo un passo indietro, e riconosciamo umilmente che tutti, governi, sistemi sanitari, imprese, sono stati presi alla sprovvista. Sì, anche l’industria. Un vaccino in meno di un anno è un record, si dice; verissimo, ma questo è stato possibile solo per chi si era preparato da tempo. E vale soprattutto per la tecnologia vincente, quella basata sul Rna messaggero al quale nessuno credeva, tranne la piccola e bistratta Moderna a Cambridge, nel Massachusetts, la semisconosciuta BioNTech a Magonza, in Germania, e pochi scienziati visionari.
La storia sembra uscita da un libro di Joseph Alois Schumpeter, tanto rispecchia la sua teoria della innovazione e della “distruzione creatrice” come molla della crescita economica e del progresso. Fondate l’una nel 2010 e l’altra nel 2008, Moderna e BioNTech hanno lavorato su una tecnologia allora considerata marginale: l’utilizzo del mRNA era di per sé un’idea geniale, ma non funzionava perché il principio attivo veniva distrutto dall’organismo prima di raggiungere l’obiettivo. Era l’ossessione di Katalin Karikò, ricercatrice di origine ungherese: nel 1995, dopo sei anni di sforzi, era totalmente demotivata e non riusciva più nemmeno a trovare fondi per il suo lavoro. Finalmente nel 2015, grazie al contributo di un immunologo, Drew Wasserman, anche lui alla Università della Pennsylvania, arriva la soluzione: racchiudendo l’mRNA in un rivestimento di nanoparticelle lipidiche si riusciva a trasmettere il messaggio e a produrre la sostanza che promuove la produzione di anticorpi. Karikò e Wasserman meritano il Nobel, ma prima che l’invenzione diventasse innovazione è stata necessaria la pandemia.
Anche Big Pharma è stata colta di sorpresa dal Covid-19. GSK, cioè GlaxoSmithKline (anglo-americana), Merck (tedesca), Sanofi (francese), Novartis e Roche (svizzere), sei tra le maggiori imprese sono rimaste al palo, AstraZeneca (anglo-svedese) e Johnson & Johnson (americana) si sono messe in corsa con approcci più tradizionali e meno efficaci (l’adenovirus). La Merck ha mollato, Glaxo e Sanofi hanno congiunto i loro sforzi nel tentativo di recuperare, ma sono molto indietro. L’olandese CureVac è in lista d’attesa. L’americana Novavax sta incontrando difficoltà produttive per l’approvvigionamento delle materie prime.