Polonia, crisi dei migranti: così Lukashenko (e Putin) sfidano l'Europa al confine bielorusso

L’ultimo dittatore d’Europa e il suo protettore al Cremlino cercano di mettere in difficoltà (soprattutto) la Germania. Varsavia (per ora) non gioca allo scaricabarile con Bruxelles

Migliaia di profughi al confine con la Polonia, a piedi, senza rifugi per la notte, sono l’equivalente di una flotta di barconi che attraversano il Mediterraneo in tempesta. Restare all’aperto in queste notti gelate rischia di uccidere le persone come un naufragio.

Cosa spinge afghani, iracheni, siriani a rischiare la vita in questi viaggi senza rete, lo sappiamo da anni, ma quali intrecci politici abbiano aperto questa rotta nel profondo nord è un tema meno battuto.

In questo orribile gioco con la disperazione ci sono i protagonisti di primo, secondo e terzo livello e man mano che ci si allontana dalle steppe battute dal vento, cresce la tendenza a manovrare la massa di profughi come pedine di una scacchiera politica. L’umanità svanisce, resta l’opportunismo politico.

Principale attore protagonista di questo ennesimo dramma è l’«ultimo dittatore d’Europa», quel Alexandr Lukashenkoaccusato dall’Europa di conservare il suo potere assoluto schiacciando le opposizioni, dirottando gli aerei, ignorando ogni regola vagamente legale. E, ora — a usare queste parole è la Francia —, anche di giocare a destabilizzare l’Europa.

Le sanzioni economiche imposte dall’Ue infastidiscono Lukashenko e pochi dubitano l’abbiano convinto ad usare l’arma dei migranti contro chi cerca di limitarne l’assolutismo. Non è una trovata tanto originale, in fondo.

L’ha fatto per anni con successo il libico Gheddafi, l’ha fatto e continua a minacciarlo ricavandone vantaggi economici il turco Erdogan, nessuna sorpresa che anche il dittatore bielorusso abbia annusato la paura degli europei e cerchi di sfruttarla. Lasciatemi governare come voglio o ve ne pentirete.

Dietro a Lukashenko, però, c’è Vladimir Putin, il grande fratello senza il quale la Bielorussia non potrebbe sopravvivere un minuto (e con cui Lukashenko ha avuto una conversazione telefonica nella giornata di martedì). Per Mosca inviare profughi in Polonia, Lettonia, Estonia, Lituania, è un modo per tenere l’intera Europa in scacco. Destabilizzarla, ricattarla.

L’obbiettivo principale è lo Stato guida, la Germania, che persino sotto la salda guida della cancelliera Merkel ha dimostrato di non saper conciliare le intenzioni umanitarie, le regole e i principi dell’accoglienza, con la fobia della sua pancia meno sazia, per i diversi, gli stranieri, «quelli che rubano il lavoro».

A ricevere la prima bordata dell’offensiva dei migranti sulla rotta Nord ordita dal tandem Lukashenko-Putin è la Polonia. Paese enorme, in crescita, ma dilaniato da una crisi di fiducia nella sua scelta democratica. Il dilemma che si ripropone in ogni Paese civile tra la necessità morale di accogliere chi ha bisogno e l’egoismo presentato come pragmatico di respingere chi non si può integrare, in Polonia a affonda in un terreno scivoloso.

Varsavia ha la possibilità di convertirsi in baluardo dell’Unione oppure sfruttare a sua volta l’ondata di profughi per premere sui Paesi più ricchi che le danno lezioni di democrazia, indipendenza del sistema giudiziario, e vorrebbero un’adesione più sincera ai valori europei. Per il momento la Polonia si oppone all’aggressione bielorussa, ma la sua tenuta è a rischio. Nessun profugo vuole fermarsi nel Paese che esporta idraulici e imbianchini verso i partner europei, tutti vogliono arrivare nel cuore del welfare comunitario che sanno bene essere in Germania, Danimarca, Olanda, Austria.

Già dall’inizio di novembre filtrano in Germania dal confine polacco, chilometrico e indifendibile, 500, anche mille migranti al giorno. Con le migliaia che Lukashenko spinge al confine, i numeri potrebbero salire alle stelle. L’Unione europea orgogliosa paladina dei diritti umani non ha saputo risolvere il problema di Lampedusa senza girarsi dall’altra parte, togliere le navi di soccorso, condividere con l’Italia il peso della migrazione. I suoi avversari l’hanno capito. Dalla Turchia ai trafficanti libici, dal Marocco alla Bielorussia , il punto debole della Ue viene puntualmente sfruttato dai suoi avversari. Sul fronte polacco va in scena l’ennesimo atto dello stesso ricatto. La soluzione è, come al solito, più multilaterale che polacca o bielorussa.